YOGA E' LIBERAZIONE
Pochi giorni fa sono tornata da due settimane di workshop di Ashtanga Yoga con Petri Räisänen, Scott Johnson e Wambui Njuguna. È stato un vero tuffo dentro me stessa! Ancora una volta questa pratica è riuscita a stupirmi e a lavorare in profondità, riportandomi al centro nonostante i cambiamenti, spesso imprevisti, che la vita ci porta.
L’esperienza con questi insegnanti è stata determinante: ognuno, con la propria sensibilità, ha mostrato quanto sia fondamentale creare spazio e rispettare i limiti del corpo. È così che, dietro l’apparente durezza dell’Ashtanga, si svela il suo immenso potere curativo.
Ho preso appunti che desidero condividere con voi.
Il primo riguarda l’esecuzione dell’asana: non è una “figura” da imitare, ma uno strumento che libera meccanismi fisici, mentali ed emotivi custoditi nella nostra memoria. Non importa se la postura non assomiglia all’immagine di un libro: ciò che conta è il lavoro interiore che si attiva attraverso il respiro. Se pensiamo allo yoga come a un allenamento per “fare meglio”, ci allontaniamo dalla sua essenza; più respiriamo e ci rilassiamo, più il corpo si apre e la libertà si manifesta.
Interessante anche la riflessione sugli aggiustamenti: Scott Johnson, prima di intervenire su un allievo, immagina dentro di sé la postura per percepire cosa prova chi ha davanti. L’aggiustamento deve seguire il ritmo del respiro e va fatto con grande rispetto, perché toccare un corpo è un gesto potente.
Si è parlato anche del potere verbale e di presenza che l’insegnante inevitabilmente esercita in shala: il legame con l’allievo dev’essere sacro e rispettoso. Se qualcosa ci mette a disagio, dobbiamo sentirci liberə di comunicarlo.
Altro tema centrale: il pranayama. È ciò che unisce corpo e mente. “Esisto perché respiro”: semplice e vero, ma a volte lo dimentichiamo. Gli esercizi di respirazione ci collegano consapevolmente al mondo esterno. Quando diciamo “c’è aria pesante”, stiamo descrivendo una sensazione dentro di noi. Noi siamo quel respiro che può portare cambiamento, restituire gentilezza e calma.
Molto si è parlato di gentilezza: praticare con gentilezza, sorridere mentre danziamo col respiro sul tappetino. Questo atteggiamento diventa anche un modo per affrontare le dure notizie che ogni giorno ci raggiungono. Non possiamo fermare le guerre da sole, ma possiamo creare ambienti di cura e rispetto nelle nostre comunità. Una goccia nel mare, sì, ma il mare non è forse fatto di gocce?
Indimenticabile anche l’incontro con Wambui Njuguna, che ha scelto di non insegnare più Ashtanga ma continua a praticarlo. Con lei ho sperimentato una guidata “accessibile”, arricchita da posture della serie intermedia come Salabhasana, benefica per la schiena anche a chi pratica solo la prima serie. Il suo lavoro si è concentrato su pranayama e meditazione con affermazioni di guarigione dei traumi. I “5 steps self hold”, ispirati alla saggezza delle culture indigene, sono stati per me una rivelazione: attraverso il contatto delle mani sul corpo e il respiro, accompagnato da frasi come Io sono salva, Io sono a casa, Io sono amata, Io sono nel mio corpo, ho sentito una profonda liberazione.
Se volete conoscerla meglio, potete visitare il suo sito: wambuinjuguna.com
Questo workshop mi ha ricordato ancora una volta che lo yoga non è mai solo pratica fisica, ma un viaggio che ci insegna a respirare, ad ascoltare e a prenderci cura di noi e delle persone intorno. Porto con me un grande senso di gratitudine e la voglia di continuare a condividere questi insegnamenti con voi.
Perché sì: lo yoga è liberazione ma anche rivoluzione 🌸🔥.
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